Provinciale, rionale ... continentale!

"Se sapessero quanto è provinciale dire provinciale, troverebbero di corsa altri aggettivi". Così Camillo Langone, scrittore e giornalista, replica oggi su Il Foglio alla polemica sul provincialismo del cinema italiano all'indomani del Festival di Venezia.

Il termine provinciale assume spesso un'accezione negativa e identifica una persona dalla "mentalità ristretta, arretratezza di gusto, chiusura mentale" (Dizionario Sabatini Coletti).

In tal senso l'ha ovviamente interpretato il regista Marco Bellocchio che lo scorso 9 settembre ad un membro della giuria del Festival di Venezia che avrebbe definito il cinema italiano "troppo provinciale", ha replicato con queste parole: "L'eutanasia, la tragedia o il dramma del fine vita sono forse un tema provinciale? Accetto la decisione della giuria (avendo accettato di partecipare al concorso) che ha giudicato secondo la sua idea di bellezza: i film premiati erano i più belli. Basta. Ma non ci vengano a dare lezioni su cosa gli italiani dovrebbe raccontare al cinema".

Per Langone però la definizione provinciale "per molto cinema italiano è finanche eccessiva" perchè "sentita la pronuncia e visto lo sfondo bisognerebbe dirlo rionale (i rioni ovviamente sono quelli di Roma)".

E prosegue entrando nel merito dei film: "Il cinema di Bellocchio, ha ragione il regista piacentino a lamentarsi, non è provinciale né rionale e nemmeno regionale. Appartiene a una geografia che non si trova nelle mappe ma nelle incisioni del Doré: è cinema infernale. Il cinema del coreano vincitore a Venezia sarà pure visivamente innovativo come dice Dario Argento ma il mio atteggiamento di rifiuto, e quello di Giovanni Veronesi e di altri, non può essere liquidato come provinciale. Sarei provinciale se da abitante della provincia di Parma rifiutassi il cinema della provincia di Reggio Emilia o di Bologna. Ma le cose non stanno così, non ce l’ho assolutamente con i film di Ligabue o di Pupi Avati. La scala del discorso è molto diversa: io non sono interessato al cinema asiatico perché sono uno spettatore europeo. Quindi il mio atteggiamento ha un orizzonte ben più vasto della mia provincia e pretendo che d’ora in poi sia definito “continentale."

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