Egitto, golpe o non golpe

Una parola normalmente descriverebbe quanto accaduto in queste ore in Egitto: golpe. Ma è una parola in declino nelle democrazie e giornali occidentali. Scopriamo perché.

Due anni fa, una espressione aveva accompagnato l'uscita di scena di Mubarak: 'primavera araba'. Espressione che evocava trasformazione e ispirava speranza per un nuovo corso in Egitto, ma anche in tanti altri Paesi attraversati dal vento del cambiamento come Libia, Algeria, Tunisia, Siria, Giordania. Sappiamo che non è andata come, almeno in Occidente, ci si augurava. E come si attendevano anche molti egiziani, tornati nelle piazze questa volta non per chiedere la cacciata di un presidente-padrone ma del primo presidente democraticamente eletto dell'Egitto, Mohamed Morsi. La sua cacciata, ha fatto sorgere molteplici dubbi che Magdi Cristiano Allam (Il Giornale, 5 luglio) ha così riassunto: "E' definibile 'colpo di stato' l'intervento dei militari dopo che 14 milioni di egiziani da settimane si riversavano nelle piazze di tutto il Paese e dopo la raccolta di 22 milioni di firme che rivendicavano le dimissioni del presidente Morsi condannandolo come espressione del regime dei Fratelli Musulmani e non tutore dell'interesse nazionale dell'Egitto?"

Colpo di stato, golpe ... parole che ricorrono ogni qual volta la storia ha posto i militari al centro di rovesciamenti di potere. "Da Bokassa a Noriega, si fa presto a dire golpe", titola Il Fatto Quotidiano (5 luglio) l'articolo di Maurizio Chierici che ricorda, ad esempio, il famoso caso di Allende in Cile. Qui però è diverso. E non è un caso se la parola golpe non trova sponde in nessuna democrazia occidentale, neppure in quelle più preoccupate dell'ambiguo ruolo dei militari. Con la sola eccezione della Turchia, anch'essa alle prese da settimane con la protesta di migliaia di giovani, dove il capo del governo Erdogan ha dichiarato sdegnato: "Un inaccettabile golpe militare".

Sui giornali italiani, opinionisti ed esperti si sono divisi. Bernardo Valli (Repubblica, 4 luglio) ha spiegato: "Un golpe? Ci assomiglia. Ma un golpe bianco perché se è stata impiegata la forza militare, l'obiettivo non sembra la presa del potere". Bianco? Più sul 'grigio' per Antonio Ferrari (Corriere della Sera, 4 luglio): "grigio, dolce, ma pur sempre golpe, con il presidente agli arresti domiciliari, con i carri armati per le strade, e con i soldati che circondano i centri nevralgici del Paese, per proteggerli dal rischio di una guerra civile".

Ma c'è un fatto sostanziale, che differenzia gli eventi in Egitto da altre vicende simili. Ancora Ferrari: "Questo non è un golpe tradizionale, non è un golpe contro il popolo. Potrà sembrare un ossimoro, ma quello che stiamo seguendo è un golpe popolare, auspicato dalla maggioranza del più grande Paese arabo, che sperava con la «primavera delle piramidi» di aver ritrovato la strada della libertà".

Golpe popolare, anzi atipico. Leggete Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione Esteri della Camera (Adnkronos, 4 luglio): "Siamo davanti ad un colpo di stato, ma ad un colpo di stato atipico, visto il sostegno popolare all'esercito dato da grandi manifestazioni popolari".

Insomma, le definizioni si sprecano. "Un golpe democratico" (Matteo Colombo, panorama.it, 4 luglio). Un "colpo di Stato. Ma per metà" (Il Messaggero, 4 luglio). Un'anomalia. Che coglie Filippo Facci (Libro, 5 luglio) che parla di uno "strano tripudio della nostra stampa che esalta il colpo di Stato contro un presidente regolarmente eletto".

Proviamo a tirare una conclusione con Carlo Panella (Libero, 4 luglio): "È indubbiamente in corso un 'golpe' militare, nella forma e nella sostanza, che ha però il pieno e totale sostegno dei 14 milioni di egiziani che domenica hanno manifestato contro Morsi. Un 'golpe' richiesto dunque a gran voce da larga parte del popolo egiziano, peraltro contro un presidente democraticamente eletto, un inedito nella storia".

Insomma, l'Egitto è laboratorio di nuove forme radicali di cambiamento politico che una parola antica non è più sufficiente a descrivere. Golpe sì, ma non troppo ...


Articolo pubblicato anche su RadioRadio.it

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