#ritagli - Non più fallito ma «insolvente»

Articolo di Michele Smargiassi - La Repubblica

Quante volte abbiamo sentito la storia del «fallimento» di Steve Jobs con la sua NeXt e di quanto importante sia stato per fare della Apple quello che è oggi.

In Italia «sei un fallito» significa tante cose, troppe, e nessuna di esse lascia scampo. Quello ha fallito nella vita, il matrimonio è fallito, ha fallito all'esame. Non c'è redenzione di fronte a un giudizio prima di tutto «morale». Basterebbe leggere sulla Treccani i sinonimi: bancarotta, crac, patatrac, rovina, tracollo, fiop, scacco. Il fallimento è come un diamante: è per sempre, anche ora che su Google è previsto il diritto all'oblio per il carcere.

Intendiamoci: il fallimento economico è una cosa grave, non certo da sminuire, anche perché ricade sugli altri. A pagare sono i creditori. Ma la battaglia per la quale la Corte costituzionale ha indicato il Parlamento come luogo naturale del dibattito è soprattutto culturale. Le società falliscono, ma per gli individui si trovi un termine equipollente ma un pochino più «petaloso», per evitare quella gogna sociale che ha portato molti imprenditori al suicidio. Insolvente? Potrebbe essere una soluzione.

Il caso è stato sollevato dal tribunale di Vicenza che aveva rimandato proprio alla Consulta la questione. Anche il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta, e la presidente della commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, hanno sposato la battaglia sottolineando che bisogna evitare il senso di gogna morale.

Il dibattito era già stato affrontato durante il governo Monti con il decreto sulle start up. In particolare le start up innovative già oggi sono protette dalla procedura concorsuale e dalle conseguenze del diritto fallimentare che è del 1942. In un mondo in cui è normale non arrivare al primo o al secondo anno di vita, il fallimento fa parte del gioco tanto che chi investe in queste società è chiamato venture capitai, investitore di ventura. Una commissione predisposta dal ministro Orlando ha già lavorato a un disegno di legge e, secondo Baretta, un cambiamento si potrebbe avere già entro la fine del 2016. A un certo punto ci potrebbe essere l'ultimo fallito e il primo «fortunato» insolvente.
 

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