Cassazione: omosessuale, l'offesa non sussiste

«Omosessuale» non è un'offesa ma ormai una parola come tante altre e nessuno può sentirsi leso nella reputazione per essere definito con questo termine, nemmeno se ha gusti eterosessuali.

Lo ha stabilito una sentenza della Corte di Cassazione che ha definito la parola «neutra anche se rivolta a chi non è gay». Oggi, secondo i giudici, il termine omosessuale non ha più «un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto».

La Cassazione è intervenuta - con la sentenza 50659 - annullando senza rinvio la condanna per diffamazione inflitta il 20 marzo 2015 dal Giudice di pace di Trieste nei confronti di un uomo che aveva usato questo termine in un atto di querela rivolgendosi a un 'avversario' eterosessuale con il quale era in lite.

La parola omosessuale, spiega la Suprema Corte, è entrata nell'uso corrente e attiene alle «preferenze sessuali dell'individuo», assumendo di per sé «un carattere neutro». E per questo non è lesiva della
reputazione di nessuno, anche nel caso in cui sia rivolta a una persona eterosessuale. A differenza di altri «appellativi» sessisti che invece per i giudici mantengono un carattere «denigratorio».

Un cambio di orientamento dei giudici che appena sei anni fa, con una decisione pubblicata il 16 marzo 2010, relativa ad una vicenda iniziata ad Ancona alla fine del 2002, la Cassazione aveva stabilito che non si
può dare a qualcuno del «gay» con l'intento di offendere, anche se la persona cui si è rivolta l'espressione ha effettivamente tendenze omosessuali e nonostante ci si proclami «laici apertissimi».

«La tipicità della condotta di diffamazione — scrive la Cassazione — consiste nell'offesa alla reputazione: è dunque necessario che i termini dispiegati o il concetto veicolato, nel caso di comunicazione scritta o orale, siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto» al quale sono rivolti. E per gli ermellini la «mera attribuzione» della «qualità» di omosessuale non  «attinente alle preferenze sessuali dell'individuo» tenendo conto «dell'evoluzione della percezione della circostanza da parte della collettività». Ragion per cui, oggi, il fatto, cioè l'offesa, «non sussiste».

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