La ragione della "volgare" eloquenza

(Corriere della Sera, Giuseppe Antonelli)

C'è chi parla già di Terza Repubblica: difficile dirlo in termini politici. Facile confermarlo in termini linguistici. Dopo il «politichese» della Prima Repubblica e il «gentese» della Seconda, siamo ufficialmente entrati nella stagione della «volgare eloquenza». Con Bossi e Berlusconi si era passati dal vecchio paradigma della superiorità («votami perché parlo meglio tè») a quello del rispecchiamento («votami perché parlo come te»). Adesso quello specchio è diventato deformante. Con Grillo, Di Maio, Salvini a trionfare è il paradigma populista del «votami perché parlo peggio di te». Perché do voce al te più arrabbiato e aggressivo e sboccato.

Come moderni ventriloqui, questi politici hanno imparato a parlare con la pancia. Il loro italiano ostenta una popolarità artificiale. Punta tutto sul politicamente e sul grammaticalmente scorretto: usa gli strafalcioni, gli anacoluti, le storpiature come la retorica classica usava gli ornamenti stilistici. Salvini dice che «migrante» è un gerundio? Di Maio sbaglia i congiuntivi? Perfetto! Questo fa sì che tanti elettori li vedano come persone sincere, autentiche, di cui ci si può fidare.

E poi c'è il potere taumaturgico del turpiloquio. Un tempo si diceva che la retorica politica era solo democrazia a parole, oggi potremmo dire: a parolacce. La parolaccia fa guadagnare voti, e non solo in Italia (basta pensare a Trump). A dimostrarlo anche una serie di studi scientifici portati avanti dalla psicologia sociale. E infatti — da Berlusconi a Grillo, da Bossi a Salvini — il turpiloquio si è fatto sempre più frequente e più pesante. A volte totemico, come nel caso del vaffa sul quale è stato edificato quello che oggi è il primo partito italiano. «Abbiamo fatto una rivoluzione ma il vaffa rimarrà», aveva detto Grillo chiudendo la campagna elettorale. Sarà il governo del «veni, vaffa, vici»? 

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